5 agosto. Ore 23.00. Sto studiando da 2 ore. Ore 23.30. Decido che è il momento di andare a letto e mi collego un attimo su Facebook, il mio professore di filosofia del liceo ha condiviso un video: la vita è anche assenza.
Quel monologo mi colpisce come un pugno in pancia. Solo in apparenza questa affermazione sembra in pieno contrasto con gli approcci legati al vivere il presente (mindfulness, in primis). Noi l’assenza la viviamo poco o non la viviamo per niente. Pallino verde, spunte blu, online, … Siamo alla costante ricerca di placare quegli spazi vuoti. Già, quando ci fermiamo, spesso proviamo angoscia e ansia perché, nei silenzi, la nostra mente inizia a parlare prepotentemente un linguaggio con non vogliamo sentire: le emozioni. O meglio, ci piace leggere nel nostro corpo tutte quelle sensazioni positive che ci fanno sentire importanti, belli, arrivati, appagati, tutto il resto non vogliamo sentirlo.
Cerchiamo costantemente di vivere anestetizzati da noi stessi perché, e possiamo dircelo, le nostre ombre ci fanno paura. È normale che sia così. Costruiamo nuove identità performanti e anche quando pubblichiamo il nostro scontento, in fondo, lo facciamo perché l’altro se ne faccia carico. Di fondo, c’è la grande paura di non trovare la nostra pace.
Ore spese davanti al social di turno. Contano le visualizzazioni e i like. Spiamo le vite degli altri. Contattiamo persone che all’apparenza ci possono dare di più di quelle reali che possiamo toccare. E spesso, si perde il proprio concetto di confine. A volte, per esempio, le vacanze vengono anche simulate sui social quando, invece, vengono passate chiuse in casa. Sembra surreale, ma capita.
La vita però è anche assenza perché in quel momento possiamo farci carico di noi stessi. Possiamo godere di quel positivo che nella nostra vita c’è e, all’occorrenza, cambiare rotta. È semplice? No, non lo è. Dobbiamo farlo sempre? No, altrimenti non vivremmo più.
Tuttavia, nell’assenza, che a volte è mancanza, incontriamo il nostro Io desiderante e il desiderio è una guida interna molto potente (Lacan docet). In questo tempo di vacanza, possiamo provare a fare silenzio, lasciare uno spazio vuoto e vedere cosa c’è. Un po’ come quando avete scavato nel baule della nonna per trovare il vostro giocattolo preferito dell’infanzia.
Recuperare il contatto con noi stessi e stabilire i nostri ordini di priorità per ripartire più sereni, ecco un buon modo di godersi la pausa estiva 😉
Ecco di cosa parlava il monologo, grazie Prof.!