Ieri è iniziato il mio nuovo gruppo di supporto psicologico. L’ho chiamato Parko Creativo perché è destinato a persone che hanno la Malattia di Parkinson e ai loro familiari. Il nome non è stato pensato a caso: parko (con la k che richiama Mr Parkinson, noi useremmo la C) è una parola di origine preindoeuropea che significa recinto, un luogo protetto all’interno della riserva del signore. Il gruppo è un luogo chiuso e protetto dall’esterno, si crea uno spazio, creato dalle persone, in cui è possibile elaborare emozioni difficili, come quelle di una diagnosi di una malattia neurodegenerativa. Sono i confini del gruppo stesso a proteggere, è lo sguardo dell’altro a dare fiducia, è la sua parola a ridare significato a gesti quotidiani, che il senso l’hanno perso. Ma perché creativo? Perché a differenza delle ultime edizioni, ho deciso di sperimentare con loro l’utilizzo della tecnica espressiva: un foglio bianco, colori e parole in libertà. Sono diversi gli studi che riportano un aumento della creatività nei malati di Parkinson, complice un effetto positivo della terapia dopaminoagonista.
Vi dicono niente Charles Schulz, quello di Charlie Brown (che io amo, ndr), e Salvador Dalì, quello dei dipinti surrealisti (che ho portato alla tesina di maturità, ndr)? Loro avevano il Parkinson e, beh, le loro produzioni le conosciamo più o meno tutti.
Ecco, io non so se tra i miei pazienti ci sarà il nuovo artista dell’anno, lo spero per loro; quello che ho potuto apprezzare ieri è stato però l’entusiasmo, dietro l’iniziale ritrosia comune a noi adulti di fronte a un foglio con dei colori, con il quale hanno dato vita ai loro disegni. Ognuno con il proprio tratto, tremolante o dritto che fosse, ognuno con i propri colori, ognuno con i propri significati. Quei disegni parlavano di ognuno di loro: delle paure, delle difficoltà, dello stadio della propria malattia, delle richieste di sostegno fatte e ricevute, della relazione con chi sta loro accanto. Osservare poi, da lontano, le loro produzioni ha permesso loro di prendere contatto con alcune parti di sé, vederle più chiaramente e trovare uno spazio di confronto con gli altri, fondamentale per combattere il possibile isolamento che la lentezza può far scaturire in un mondo veloce.
A un mondo lento nel gruppo si è affiancato un mondo veloce, ma rallentato: quello dei caregiver. Loro hanno prodotto dei disegni speculari a quelli dei propri cari. Quando due mondi stanno a contatto si contaminano e questo è quello che ho potuto apprezzare in questo primo incontro.
Come andrà avanti? Ve lo saprò dire, dandovi anche psico (e neuro) indicazioni sul Parkinson e raccontandovi cosa mi lega a questo disturbo del movimento.
Per ora, buona la prima per me e per Aspi Groane 🙂